IL PENSIERO DEL REALE VERSO I CIELI

Hotel della notte (Aragno 2013) di Alessandro Moscè, raccolta poetica, è stata appena tradotta da Antonio Nazzaro e pubblicata in Argentina e in Messico (Colección Pippa Passes, Buenos Aires Poetry).
Il critico Paolo Lagazzi tratteggia i caratteri essenziali di questi versi.

Un senso quasi continuo di perdita attraversa la lirica di Alessandro Moscè, ma l’originalità del poeta, la sua forza stilistica e mentale sta nell’esprimerlo in modi insieme asciutti e svagati, lasciando emergere dal fondo della vita immagini colte di sbieco, “come da una svista”. In Hotel della notte le occasioni, gli incontri, i sentimenti scivolano a onde discontinue da “un pomeriggio sghembo / quando i conti non tornano” a piccole “cicatrici sui pensieri”, da “giri a vuoto” di “coppie con il mal di testa” allo stillicidio “dei rumori / che si spengono come i televisori”. Solo di tanto in tanto la “vanità” che corrode il mondo si coagula in visioni dure, quasi espressioniste (“la strada angosciata / dai fanali bassi sull’asfalto”). La vera cifra di questa poesia è, più che il tragico, la melanconia, una tonalità come di blues che può persino darsi nell’illusione della felicità. A questo richiamo dello smarrimento si oppongono, però, alcune forze cruciali: la grazia fragile e immensa delle donne; il sentimento creaturale, la pietà per i perdenti e gli inermi; la memoria, che sa custodire “i nomi e i muri” del passato ritardando “il grande congedo”. Sebbene evocato in versi piuttosto elusivi, il ruolo delle donne è primario nei testi di Moscè: il desiderio che esse suscitano è un tramite impareggiabile di conoscenza, una rivelazione necessaria, uno spiraglio di libertà nella “ferita aperta” dei giorni. Ma anche la tenerezza per i reietti come il povero, folle Pierino (“anima d’incenso”, santo del candore o del nulla, capace di parlare coi morti prima di essere a sua volta inghiottito dall’ombra) e per la propria infanzia (i nonni, i natali d’un tempo, i banchi di scuola, le figurine dei calciatori) intride il libro di brividi sottopelle, lo increspa, lo flette verso quella “placenta del tempo / che non si arrende alla vita e alla morte”. Laggiù nella notte, da qualche parte, una luce resiste… È forse la “figlia illegittima” dello stupore che alberga, malgrado tutto, nei nostri cuori assediati dal dubbio? Moscè non cerca risposte semplici, ma, mentre allude alle polveri sottili che rischiano di soffocare il nostro respiro, ci ricorda il valore della gentilezza, della leggerezza, della gratuità, “la bolla di sapone” di ogni gesto, di ogni pensiero in grado di far levitare il reale verso i cieli del possibile, dell’altrove.

Paolo Lagazzi

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