LE SCUOLE DI LETTURA

La provocazione lanciata lunedì scorso sul “Foglio” dal critico Alfonso Berardinelli in merito al calo dei lettori in Italia, merita alcune riflessioni, soprattutto quando viene notato che gli italiani sono tanto refrattari alla lettura quanto decisamente propensi a scrivere. La poesia, in particolare, è come il pane, diceva Giorgio Caproni. Ognuno vorrebbe farla in casa. Alle scuole di scrittura Berardinelli sostituirebbe le scuole di lettura. Tutto ciò che ha un valore esistenziale non va mai accantonato, ma la bassa qualità della produzione letteraria italiana, probabilmente, è anche condizionata da questo bisogno di autoaffermazione che porta a scrivere più che a leggere, non capendo che per scrivere bene è utile leggere molto. La cultura di massa, quella che Maurizio Cucchi su “Avvenire” del 6 febbraio chiama “cultura pop”, e la cultura di ricerca, si confondono. Bisognerebbe tornare a leggere e a riscoprire il pensiero umanistico. Non prima di sottolineare che il problema riguarda anche l’editoria, che ci propina un genere onnipresente, invadente: il giallo. La mattanza di uomini e donne imperversa sul mercato come sulla cronaca. Dov’è finita la scrittura esistenziale e civile? Le scuole di scrittura possono essere utili se sono anche scuole di lettura, se indirizzano il partecipante a scegliere bene poeti, narratori, saggisti. Sì alla scrittura in libertà, ma anche attenzione alla nostra storia e geografia letteraria, dico spesso. Partiamo da dove si vive. Risiedo nelle Marche e non posso prescindere da ciò che è accaduto nella mia regione. Non vado indietro nel tempo così da citare l’universale Leopardi, ma ricordo Paolo Volponi e Franco Scataglini, due classici della nostra contemporaneità. O per restare alla narrativa, Dolores Prato. Nella poesia abbiamo Umberto Piersanti, Gianni D’Elia, Eugenio De Signoribus e Francesco Scarabicchi. Nella critica Massimo Raffaeli. Sono autori di punta nel contesto nazionale. Altri, più giovani, stanno emergendo e si profila una degna continuità tra le vecchie generazioni e le nuove. Ho fondato una scuola di scrittura a Fabriano, dove inviterò alcuni di questi scrittori a parlare della loro esperienza. Durante la prima lezione ho chiesto di portare un libro al quale gli iscritti si sentono affezionati, ricevendo una piacevole sorpresa. Sul mio tavolo, ieri sera, avevo testi di David Maria Turoldo, Antonio Tabucchi, Tiziano Scarpa, la rivista “Poesia” ecc. Se in Italia il 39% delle persone impegnate in politica non legge un solo libro l’anno, chi si iscrive ad una scuola di scrittura è un lettore forte. Sono stato fortunato: nel mio caso non prevalgono libri di serie B. Focus tematici e approfondimenti costituiscono il valore aggiunto delle scuole di scrittura, se ben condotte. Appassionarsi alla parola scritta vuol dire anche, nel passaparola, affezionarsi ai grandi scrittori di ieri e di oggi, a non voler esprimere un bagaglio del tutto personale, una vanità o un’ostentazione. In Cara Mathilda (1997), Susanna Tamaro nota: “Leggere, in fondo, non vuol dire altro che creare un piccolo giardino all’interno della nostra memoria. Ogni bel libro porta qualche elemento, un’aiuola, un viale, una panchina sulla quale riposarsi quando si è stanchi. Anno dopo anno, lettura dopo lettura, il giardino si trasforma in parco e, in questo parco, può capitare di trovarci qualcun altro”.

Alessandro Moscè

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