IL PUNCHING BALL DEL 2018

Già nel 1908 Arturo Graf diceva in Ecce homo: “Il paese di più incerti confini che sia nel mondo è quello della umana stoltezza”. Se ne dicono di tutti i colori, sferrano cazzotti con le parole, si azzuffano in televisione e adesso sui social. Prima il litigio era visto sul teleschermo, ora lo si esercita in prima persona attraverso le chat e gli altri mezzi di comunicazione telematica. Lo si legge nascosti dietro un computer. Si è dentro un sistema che da gabbia si è rivestito da canile. Lo chiamano punching ball: qualcuno o qualcosa preso a pretesto per scatenare la rissa. Succede tra i tifosi di calcio, tra i politici, tra gli anonimi cittadini. Il comportamento stereotipato della televisione degli anni Novanta si è trasferito su Facebook, su Messanger, su Instagram, su Twitter. Chi più urla più pretende ragione, a costo di mistificare la realtà. I talk show che finivano con un accavallamento di voci contrastanti domina sul web. Anche un’altra volta lo avevamo scritto: nei dibattiti su Internet manca un controllore, un moderatore. Le verità sono tutte singole e si possono alterare senza un nucleo antisofisticazioni che intervenga. Frustrati, prepotenti, volgari, depressi, egoisti colpiscono duro per un tornaconto: la visibilità personale. Il punching ball è la trasmissione del disagio e dello smarrimento. E’ ferocia sfuggente, flebile. Eppure c’è. La guerra per primeggiare, per un fasullo principio di supremazia del dire prima o meglio di altri. In Parlamento volano gli stracci, e non è di certo un belvedere. Da Lilli Gruber la faziosità è di casa, come in altri palinsesti Rai e Mediaset. Alla radio il principio non cambia. Audience e grida si prendono per mano, finché non subentra lo scandalo o l’omicidio del signore della porta accanto che fa ancora più gola da Sky fino alla piattaforma software. Una volta la gentilezza era un principio insegnato, ora l’insolenza contagia le varie età. Forse ha ragione Denise Pardo, che su “L’Espresso” di questa settimana, individua anche una rivalità tra le ultime generazioni: la generazione x e la generazione y. La prima è quella dei quarantenni, la seconda fa capo ai trentenni e a coloro che, evocati il 31 dicembre dal presidente Mattarella, voteranno per la prima volta il 4 marzo. Guerra tra ragazzi in marcia che dovranno salvare la reputazione del Paese. Arriva il tempo dei giovani, non più dei partiti ad personam. Sono figli di un’Italia più povera e più raffazzonata, di quei padri che strepitano o che sono rassegnati nell’indifferenza. Tutti pronti per il punching ball.

Alessandro Moscè

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