POVERI MA BRUTTI

L’Italia non è rinata dalla ceneri della Fenice, non ha avuto l’ultima emersione, il colpo di coda che ci aspettavamo. E’ caduta tra le proprie mura, nonostante l’assordante tifo di San Siro. Angela Merkel dice che vincere un mondiale produce un innalzamento esponenziale del Pil della felicità. Nel nostro caso si finisce nel buio di un girone infernale: non accedendo alla fase finale dei mondiali abbiamo perso 100 milioni di euro. Il paese reagisce con gli insulti, come era prevedibile, oppure con una glaciale indifferenza: come a dire “io speriamo che me la cavo”. Chi sostiene che il calcio, la terza industria italiana per fatturato, non conti nell’immagine complessiva di un paese e sullo stato di buona salute generale, sbaglia di grosso. Andrea Agnelli, in proposito, dichiara: “Il calcio non è solo un gioco. Oggi è un’impresa che ha la potenzialità di influenzare sia in positivo che in negativo. Da questo punto di vista spetta a chi lo gestisce, siano essi le istituzioni calcistiche, i club o i giocatori, assumersi le proprie responsabilità e saper indirizzare la valenza e la portata nella direzione giusta”. L’atteggiamento della federazione lascia l’amaro in bocca. Carlo Tavecchio, il presidente, non si dimette; Gian Paolo Ventura, il commissario tecnico, neppure. Aspettano la liquidazione, che conta ben più delle figuracce. Un gesto politico dell’Italia peggiore. Il calcio non fa più sognare. Non è evasione, ritorno all’infanzia, emozione capillare, passione e riconoscimento. E’ una povera realtà. Ieri abbiamo calciato la palla senza uno schema: palla che finiva per essere arpionata sistematicamente dagli avversari in un meccanico batti e ribatti. Ci manca la fantasia, la classe. Siamo lo specchio del malessere del Duemila nella recessione, nella disdetta, nella depressività. Nessuno, in Italia, pensa al futuro. Viviamo quel presente dilatato che non ci consente una programmazione, né aziendale, né amministrativa, né finanziaria. Nessuno si accorge di un talento, di un valore aggiunto. Aumenta la popolazione inattiva e i giovani non trovano spazio. Come nel calcio, dove i ragazzi non giocano se non nelle squadre cadette. Un recente studio ci fa sapere che nel 2030 avremo una predominanza di over 65. Tanti immigrati e pochi figli. Molti pensionati e nessun investimento sulle nuove leve. Lo stesso avviene nel calcio. Allenatore vecchio, squadra vecchia, gestione vecchia. Anche lo sport più amato non genera opportunità. Il miglior talento, Lorenzo Insigne, non ha giocato la partita del dentro o fuori. Da dove ripartire, ci chiediamo mestamente? Non resta che rifarci alla sapienza di Gianni Brera, che ci manca molto: “Solo i poveri affrontano rischi e sacrifici”. Ma quei poveri erano belli. I nostri sono poveri brutti, poveri di spirito.

Alessandro Moscè

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