DALLO STADIO ALLA SINAGOGA

Ho un cognome di origine ebraica e pertanto non potrei mai essere tacciato di razzismo. Del resto, chi mi legge, sa quali sono le tematiche che preferisco e come ritenga sproloqui i cori razzisti negli stadi e come condanni ogni forma di xenofobia manifestata specie con i mezzi di informazione. Gli adesivi che riproducevano Anne Frank con la maglia della Roma erano disgustosi, ma il fenomeno va considerato sotto diversi punti di vista e non solo stigmatizzando genericamente la tifoseria della Lazio. Intanto va detto che sono migliaia i supporters che affollano gli stadi in ogni parte d’Italia e che inneggiano a Hitler, a Rudolf Hess, che espongono striscioni antisemiti, effigi di Mussolini, croci celtiche, croci uncinate e che intonano cori vergognosi associando il nazismo alla presenza dell’avversario in campo, specie se nero di pelle (succede anche ai romanisti, a Verona, a Varese, ad Ascoli, a Terni, a Milano sponda Inter). Una frangia sparuta di tifosi laziali è razzista, ma non tutti coloro che vanno in curva approvano l’accaduto di domenica scorsa. Tutt’altro. Alcuni li conosco e posso testimoniarlo in prima persona. Per non parlare dei laziali che all’Olimpico siedono in gradinata o in tribuna, o che rimangono a casa a vedere la partita. Del resto sono stati identificati solo quindici tifosi attraverso i video della sorveglianza. La guerra tra fazioni prosegue con gli striscioni comunisti di parte livornese: “Tito ce l’ha insegnato, la foiba non è reato”. Andrea Agnelli, al vertice della Juventus, di una proprietà e di un casato importante, è a processo sportivo, condannato in primo grado ad un anno d’inibizione per aver ceduto ad alcuni boss della ‘ndrangheta i biglietti per praticare il bagarinaggio. Molte società sovvenzionano il tifo perché hanno paura di ricatti ed estorsioni. Tempo fa fu aperta un’indagine sul ferimento per colpo d’arma da fuoco di un ultras del Milan a Sesto San Giovanni. Venne ipotizzato un reato con il coinvolgimento di alcuni tifosi rossoneri per intimidazione contro la stessa società di Berlusconi. Il guaio è un altro: il calcio, a volte, ingloba il degrado sociale. Ricordo le lacrime agli occhi del laziale Gabriele Paparelli, figlio di Vincenzo. Suo padre fu ucciso con un razzo, nel 1979, sparato da un tifoso della Roma e che si conficcò nell’occhio del povero uomo. Ebbene, a distanza di quarant’anni, il ragazzo, di notte, camuffato, è ancora costretto a rimuovere dai muri la scritta “10, 100, 1000 Paparelli” che infanga la memoria di una vittima solo sfortunata. Non c’è differenza tra questo gesto e quello di chi ha tirato in ballo la ragazzina deportata. Uno dei tifosi della Lazio che distribuiva la figurina di Anne Frank aveva 13 anni. Ritengo che non sapesse nulla sulla storia dell’ebrea e della sua famiglia. Il deterioramento morale e l’incoscienza, così come l’inconsapevolezza, vanno a braccetto. Stamattina ho letto molti quotidiani: alcuni hanno scritto cose inesatte e pretestuose. Intanto è positivo che il presidente della Lazio Claudio Lotito si sia recato in visita alla sinagoga romana accompagnato da due giocatori di colore della squadra, nonostante l’ironia di “Repubblica” per un lapsus evidente quando ha detto: “Basta con l’antisemitismo e l’antirazzismo”. Battuta infelice da parte del quotidiano diretto da Mario Calabresi, che segnala una guardia del corpo in cravatta nera. Tutte le guardie vestono con la cravatta nera. Forse il giornalista non sa che Lotito, proprio per fronteggiare le minacce, è costretto a muoversi con la scorta, avendo negato ogni diritto sull’utilizzo del merchandising alla curva nord. Il figlio va agli allenamenti con un’auto che precede e un’altra che segue quella nella quale viaggia. Non amo Claudio Lotito perché riduce il calcio prevalentemente ad attività imprenditoriale e non esalta la passione e la romantica partecipazione, ma ha sempre combattuto in prima persona, esponendosi contro  frange violente e malavitose, biasimando episodi deprecabili a costo di un certo rischio individuale. Se c’è un presidente non colluso con la tifoseria, questo è il chiassoso patron della Lazio. Infine un commento sulla lettura delle pagine del Diario di Anne Frank negli stadi prima del fischio d’inizio delle gare o sull’indossare una maglia che riproduce il viso della giovane: la scelta non ha nulla di realmente repressivo, ma molto di un’inutile passerella. E’ una forma di banalizzazione, sullo stile del gossip televisivo, del male assoluto: l’olocausto. Sarebbero stato meglio che le società sportive avessero distribuito il libro nelle scuole di ogni ordine e grado, acquistandolo a proprie spese.

Alessandro Moscè

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