DIVENTEREMO TUTTI AGORAFOBICI?

In un’intervista ad un gruppo di giovani romani radunatosi in Piazza Navona per un evento artistico, uno di essi ha esclamato allargando le braccia: “Mi giro intorno, guardo facce sospette, macchine e furgoni fermi. Ogni rumore improvviso ridesta la mia attenzione. Non mi sento sicuro”. Continua una ragazza: “C’è da avere paura ad uscire di casa. Abito nel quartiere Prati, ma dopo i fatti di Barcellona girare per Roma mi genera ansia. Non prenderò l’aereo per nessuna ragione al mondo”. Molti rinunciano alla vacanza di fine agosto, altri a frequentare i luoghi affollati. Il terrorismo islamico incute una strana sfiducia che ci passa di fianco. Chi è quel musulmano? E quel nero? Quello straniero che abita nel mio stesso quartiere? E di quell’italiano che ha la madre asiatica, c’è da fidarsi? Gli attentati non si possono prevedere. Arriverà il momento in cui staremo a casa, chiusi a doppia mandata, vittime di una sindrome agorafobica? Come governare il panico nella società globalizzata dal pericolo? La formula, secondo gli esperti, è di far coincidere la safety e la security, ovvero l’incolumità dei cittadini e la sicurezza. Ma l’animo umano non recepisce il dettato così automaticamente. Leggo che l’attività di prevenzione è sempre più intensa: il bilancio dei primi sette mesi del 2017 riferisce di 67 espulsioni per ragioni di sicurezza, a fronte delle 37 registrate nello stesso periodo del 2016 (più 81%), per un totale di 199 espulsioni dal 2015 (fra cui tre imam). Gli indicatori sono tutti in crescita: nello stesso periodo sale il numero degli estremisti arrestati (29 rispetto a 25) e dei foreign fighters monitorati (125 rispetto a 110) e anche quello delle persone controllate a fini anti terrorismo: 190.909 nell’anno in corso, oltre il doppio dei 77.691 sottoposti ad accertamenti nei primi sette mesi del 2016. L’italiano, se può, evita spostamenti, viaggi, stazioni, aeroporti. Le fioriere di cemento sono a protezione del lungomare di Napoli: una barriera contro auto, camion e motorini. E’ questa la cautela anti attentati in riferimento a ciò che è accaduto in Germania, Francia, Svezia e Spagna: insomma ci si attrezza con fiori e piante. L’Italia non ha subito alcun attacco jihadista, ma la magra constatazione non smorza la paura, anzi l’aumenta. Toccherà a noi prima o poi, riferiscono i ragazzi di Piazza Navona, stando alle dichiarazioni rilasciate sul canale di Telegram frequentato dai sostenitori dello stato islamico. Sembra che una certa sfiducia stia facendo venir meno l’identità storica dei residenti nella propria città, la conquista della civiltà e della democrazia, non solo la sicurezza sociale. Se il nemico è subdolo e minaccioso, tanto peggio. Non lo possiamo inquadrare, non possiamo stanarlo e isolarlo. “La speranza e la paura ci fanno vedere come verosimile e prossimo rispettivamente ciò che desideriamo e ciò che temiamo, ma entrambe ingrandiscono il loro oggetto”, sosteneva Arthur Schopenhauer. La verità è che siamo tutti a rischio, seriamente, meno che dentro casa.

Alessandro Moscè

 

 

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