CHI HA UCCISO PIER PAOLO PASOLINI?

L’idroscalo di Ostia, la notte tra l’1 e il 2 novembre 1975: i misteri italiani irrisolti, coperti da segreto di Stato, con depistaggi e menzogne, occultamenti di carte e sviste clamorose, riguardano anche la morte di Pier Paolo Pasolini, il più grande intellettuale che abbiamo avuto nel secolo sorso. A questo assassinio aggiungiamo i casi Mattei, Moro e Pecorelli, la strage di Piazza della Loggia e di Piazza Fontana, la tragedia di Ustica. C’è un legame, un intreccio che non si riesce ancora a capire, ma che unisce in un circuito vizioso la strategia della tensione e gli anni del terrorismo? Chi ha ucciso Pier Paolo Pasolini, il poeta e cineasta, lo scrittore corsaro del “Corriere della Sera”? La morte di Pino Pelosi, Pino “la rana”, avvenuta ieri, contribuisce a spezzare un filo. L’omicida non potrà più dire la sua, dopo aver cambiato versione innumerevoli volte. Sappiamo che non era solo quella notte, e che in quarant’anni ha sempre avuto paura. All’epoca era un diciassettenne imberbe. Ha affermato il suo legale: “Sono convinto della sua innocenza. Esistono informazioni custodite in una cassetta di sicurezza, ma lui non se l’è mai sentita di diffonderle per paura che qualcuno potesse toccare lui o i suoi familiari”. Pelosi, negli ultimi anni, aveva ammesso che sul luogo del delitto sopraggiunsero tre aggressori, ma non solo. Chi era il quarto uomo? La verità è sfumata. Non fu un delitto tra omosessuali, ma qualcosa di più. L’omertà a distanza di decenni lo dimostra ampiamente. Non ci sono prove per dire che fu ordito un omicidio di Stato, nonostante proprio Pasolini annotò sulle pagine del “Corriere della Sera” il 14 novembre 1974: “Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpe istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del vertice che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di golpe, sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli ignoti autori materiali delle stragi più recenti. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero”. Sembrano parole profetiche e presagiscono una conseguenza. E’ in questo articolo la chiave di una morte annunciata? L’Italia appare un Paese anomalo e scoordinato, dove il secondo Stato decide per il primo, dove la segretezza è un vincolo che non si scalfisce, esattamente come il segreto di Stato. L’Italia di Pasolini, di Moro, di Falcone e di Borsellino è la stessa Italia. Sappiamo cosa è successo, ma sappiamo poco o nulla del retroscena, della pianificazione, del complotto con un vertice colluso. Le piste si confondono, si perdono nelle pagine di Petrolio. Ancora non sappiamo neppure se sia vero o meno che con un’effrazione in casa Pasolini fu sequestrato un capitolo del libro che lo scrittore stava componendo su Cefis, Mattei e l’Iri. Capitolo che sarebbe appartenuto nientemeno che a Marcello Dell’Utri. Il ragazzo di borgata, il riccetto Pelosi, non ha le fattezze della morte di Pasolini: il mosaico non è completo. Quante tessere mancano dopo quarantadue anni?

Alessandro Moscè

 

 

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