L’AUTOAFFERMAZIONE DELLA POLITICA

Nel 1979, finite le ultime rappresaglie ideologiche, il sociologo statunitense Christopher Lasch, nel suo La cultura del narcisismo, scriveva con acume, anticipando un male che si sarebbe propagato a dismisura nei decenni successivi: “La fuga dalla politica, come viene definita dall’élite dirigenziale, può essere un segno che rivela la crescente riluttanza delle persone a partecipare al sistema politico nelle vesti di consumatori di spettacoli prefabbricati. Può non denotare affatto, in altre parole, un ritiro dalla politica, ma annunciare le fasi iniziali di una rivolta politica generale”. Oggi, nella disaffezione, la rappresaglia si è insinuata nella parola, nel linguaggio. Se una volta era criptico, asettico e oscuro, oggi è volgare e grossolano. Una versione è la faccia opposta dell’altra. Ecco che il dibattito, prima era affidato alla televisione e ai giornali, quindi a pochi soggetti, adesso, nella piattaforma orizzontale, si è trasferito sui social ed è appannaggio di tutti. Facebook, in particolare, non essendo provvisto di un moderatore, consente di correre il rischio peggiore, cioè di alimentare lo sproloquio . C’è chi parla per allusioni, chi ad un destinatario perché intenda, chi scatena la rissa, chi vede l’avversario politico come un nemico da abbattere. Raramente emerge un problema tangibile con un tentativo di risoluzione, con una proposta sensata. Proprio la politica, sul web, dimostra il bisogno di autoaffermazione, di ritagliarsi un angolo narcisistico dal quale vedere e giudicare con l’illusione che il proprio scranno sia unico e indispensabile. La fuga dalla politica, dunque, costruisce l’occasione per affondare nella politica dall’esterno, spettatori giudicanti attraverso un wrestling rinnovato di giorno in giorno. Da una recente indagine è emerso che su Facebook si va per trovare persone simili, che si gratificano reciprocamente con i “like” e con opinioni avvalorate a vicenda. Il mezzo, anche in chiave politica, rischia di trasformarsi nell’ossessione del “like”, in una via di fuga dal vis-à-vis, in un confronto al riparo dagli altri per ottenere consensi fasulli, meccanici. Nella piazza virtuale tutto è ammesso, pur di piacere. Quando si sproloquia lo si fa consapevolmente. La politica online dirige una vera e propria rappresaglia per l’esigenza di attestazione del proprio orgoglio e della propria ipervisione. Fateci caso: su Facebook si sentenzia, non si discute. Si provoca, non si argomenta. In fuga dal sociale in un’età di dissoluzioni collettive, per dirla con Lasch, non si aprono nuovi confronti, ma li si restringe in una cultura malata di egotismo: il consumatore di spettacoli politici prefabbricati rinuncia al sistema e costruisce il suo show dentro casa. I Matteo Renzi e i Beppe Grillo si moltiplicano all’infinito in una massa incompatibile di voci sovrapposte.

Alessandro Moscè

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