BAUMAN, LA SOCIETA’ LIQUIDA E FABRIANO

Questo gennaio verrà ricordato anche per la scomparsa di uno dei più grandi intellettuali al mondo: il polacco di origine ebraica Zygmunt Bauman, sociologo, filosofo e antropologo che ha attraversato il Novecento, il nazismo, il comunismo, l’antisemitismo e il capitalismo. Nell’epoca postmoderna (termine talmente abusato al punto che non sappiamo più definirlo) Bauman aveva coniato il logismo di società liquida. Nei suoi saggi (in Italia pubblicati da Laterza) sostiene l’incertezza che ottenebra la società moderna derivante dalla trasformazione dei suoi protagonisti da produttori a consumatori. Lo smantellamento delle sicurezze in una civiltà frenetica, alimenta un individualismo esasperato in cui si cerca di non rimanere fuori dalla nevrotica partecipazione di massa (rapidità, permeabilità e mutevolezza risultano i fattori chiave sui quali si muove il mondo). Tra capitale e lavoro è subentrato il disimpegno, così come nei rapporti sentimentali, sempre più sfilacciati ed improvvisati. La società liquida è la società dell’incertezza, una sorta di “inferno portatile” dove si tende ad esistere attraverso la parola, spesso banale e semplicistica. Zygmunt Bauman ha spiegato che la modernità produce esseri umani in esubero, sia perché le loro condizioni economiche sono precarie, al limite dell’indigenza, sia perché si sta perdendo l’abitudine a preservare l’uguaglianza. Alcuni dei concetti ribaditi da Bauman si ritrovano nelle tendenze tipiche di chi abusa dei social media. Ha ragione Ezio Mauro, quando sulle pagine di “Repubblica” di questa mattina, riepilogando le parole chiave del polacco, ribadisce che la politica è stata ridotta a mero evento. Nel nostro piccolo, a Fabriano, ne abbiamo un esempio paradigmatico: leader come guru santificati o nemici pubblici, cittadini spettatori o assenti, individualismo spinto all’eccesso, scorciatoie cognitive, anatemi faziosi, alterazione della realtà sulla base di principi di comodo, linguaggio triviale. Tutto è trasformato in merce, anche il pensiero, dunque l’essere umano. Non è forse Fabriano una città omogeneizzata nel dialogo tra i soggetti, in un assorbimento passivo dovuto ad usi e consuetudini, a modelli culturali e di condotta prevalenti in un contesto tramandato da decenni? Lo spirito critico e la capacità riflessiva sono processi di spersonalizzazione. Raramente accade che si dica ciò che si pensa. Si opta per una verità che compiaccia se stessi e l’altro. Se la morale è la regolazione dell’agire sociale, come dice Bauman, abbiamo proposte di valori che guidano la vita politica di Fabriano? La risposta è decisamente negativa, con la sola possibilità di consegnarsi all’altro per essere comandato. Ma questa è un’altra forma di individualizzazione che prescinde dal bene comune. La libertà di donarsi è condizionata da una contropartita, o dall’idea di un risarcimento. La persona è la maschera che ricopre un ruolo assegnato. E’ questa anche la solitudine del cittadino globale del terzo millennio: obiettività e coscienza appaiono gravemente pregiudicate, spesso inconsapevolmente.

Alessandro Moscè

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