LA FILOSOFIA DEL CLOCHARD

Il 2017 è iniziato all’insegna delle morti per il freddo, ben otto in due giorni, di clochard costretti a dormire nei pressi delle stazioni ferroviarie, lungo i marciapiedi o nei giardini pubblici, sotto la neve e la pioggia. I senza tetto abbondano in ogni città italiana: colpisce, ancora una volta, il gesto di Papa Francesco, che ha imposto i dormitori aperti 24 ore, così da garantire il caldo anche di giorno. Per i senza dimora che non vogliono muoversi da dove stazionano solitamente, sono stati approntati in dono dei sacchi a pelo speciali, resistenti fino a venti gradi sotto zero. Sono le iniziative dell’Elemosineria apostolica di Roma per volontà, appunto, del pontefice. Non mancano le auto di proprietà del Vaticano per dormirci la notte. Non sempre, però, le soluzioni benefiche hanno avuto un valido riscontro, perché il clochard tende a rifiutare l’aiuto. Solitario, marginale, silenzioso, la sua filosofia di vita non ammette varianti. Il barbone assomiglia a quegli animali che sfuggono dal branco, ma che sanno far di contro. Si ritrovano, conoscono la solidarietà, una ragione esistenziale che li porta a disquisire sui massimi sistemi, su Dio, sull’aldilà. Spesso, quando non dormono, leggono. Scrisse Ezra Pound: “Venite, lasciateci compatire da coloro che stanno meglio di noi. Venite, amici miei, e ricordate che i ricchi hanno maggiordomi e non amici. E noi abbiamo amici e non maggiordomi”. In letteratura ci sono molti esempi di descrizione dei clochard che coincidono con una condizione  dignitosa. Per Rainer Marie Rilke “la povertà è come una grande luce in fondo al cuore”; per Honoré de Balzac “di generosi non ci sono che i poveri”. Il poeta Maurizio Cucchi, nel 2008, ha dato alle stampe tre racconti dal titolo L’onore del clochard (Manni). Un barbone che conserva il piacere della vita e bada al suo corpo come fa un gatto che non piange e non si compiange, esplora Milano, la indaga gustandone gli angoli e le vie. La città, con i suoi odori e colori, è protagonista di un viaggio senza meta. Quindi le riprese di un giro ciclistico e l’immersione, che diventa identificazione, nel ritratto vero e proprio dell’indigente. Anche i clochard provano passioni, gioie, delusioni. Vivono l’amore e rappresentano uno spaccato sociale dove sembra che il sogno superi la realtà. Perché in fondo, dietro a quei volti consumati, non c’è mai disperazione, ma intuito, arguzia, immaginazione. Il barbone non è un disperato. L’infelicità è altrove, spesso nei luoghi più impensati, tra quattro mura domestiche, in famiglie sfilacciate senza l’assillo di non possedere abbastanza denaro per arrivare a fine mese. Del resto vi sono varie cause che portano al vagabondaggio. Alcuni, deliberatamente, scelgono di non avere una residenza stabile e conservano convincimenti francescani, antimaterialistici.

Alessandro Moscè

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