L’OROSCOPO E IL CAPODANNO

L’oroscopo del 2016 è un appuntamento che precede il Capodanno. I segni privilegiati e quelli ai quali i pianeti non assegnano un benefico allineamento, sanciscono le previsioni suddivise tra amore, lavoro e salute. Gli italiani si lasciano condizionare. Del resto per far avverare gli auspici basta crederci. I primi a ritenere che il moto del cielo e gli avvenimenti terreni fossero collegati, furono i babilonesi, i quali consideravano l’astrologia un’arte divinatoria. Il nostro destino è appeso ad un risvolto personale e ad un altro non perscrutabile. Questo non poter guidare tutti i processi della vita, sapendo che la fatalità è un fattore che determina sempre incertezza, ci rende padroni solo di una parte di noi. Il passeggere di Giacomo Leopardi voleva una buona annata. “Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?”. L’almanacco più bello avrebbe dovuto offrire garanzie. Se il Natale è permeato dallo spirito cristiano, a Capodanno predomina il dubbio. Chi vorrebbe tornare indietro? Chi guardare avanti? Come assaporare la felicità? Come riconoscerla perché non si disperda? La speranza sigilla il 31 dicembre. Eppure c’è sempre l’illusione che l’anno che finisce sia stato il peggiore, come nel 2016, ricordato per le morti premature di grandi artisti della musica, stroncati nella loro solitudine maledetta. Ma a cosa dovrebbe assomigliare un anno nuovo che si dica fortunato? Non c’è mai stata una risposta convincente. Diceva François Mauriac: “Un matrimonio, un funerale sono per ogni famiglia un’occasione di passarsi in rassegna. Esiste solo una rassegna a data fissa, quella del Capodanno”. Se Babbo Natale è sempre più povero, anche le spese della gente sono decisamente in ribasso. Meno feste, meno cenoni, meno botti, meno discoteche. Resta il dissapore per i detriti di un anno che ci lascia una crisi economico-occupazionale senza sbocco, un governo caduto da un giorno all’altro e un altro nato già precario. La politica è delegittimata, il capitalismo finito, il potere di acquisto delle famiglie in picchiata. Forse aveva ragione Seneca, che nelle lettere a Lucilio si augurava buoni pensieri che liberassero l’animo dalle meschinità. Perché il passaggio da un anno all’altro è il rito formale che non condizionerà la natura matrigna cara al grande recanatese. Il calendario resta una questione di numeri, di cabala, di gesti. Un ottimista sta in piedi fino a mezzanotte per vedere l’alba dell’anno nuovo. Un pessimista sta in piedi fino a mezzanotte per essere sicuro che l’anno vecchio sia passato. Su Twitter, in questi giorni, un anonimo ha scritto: “Cosa faccio il 31? Chiudo senza salvare”.

Alessandro Moscè

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