L’ULTIMO SENTIMENTO DI ALBERTO BEVILACQUA

Non è vero che l’elemento magico della scrittura narrativa di Alberto Bevilacqua, spentosi a settembre del 2013 (e sul quale è caduto un totale oblio), contrasterebbe con quello religioso e spirituale. Religiosità, ovviamente, intesa come scavo di coscienza, come pulizia d’animo e tentativo generoso di affrontare nelle pieghe più nascoste il tema “cosmo” e i suoi misteri umani. Il senso di pietas è alimentato da una stretta di mano, dal coraggio di rivolgersi ad un altro, a quell’ombra degli occhi e dei pensieri, a quella stanchezza esistenziale come segreto dell’anima. Lo dimostra anche l’ultimo romanzo, L’amore stregone (Mondadori 2009). E’ sui termini che bisogna intendersi. Stregone come sinonimo di ammaliante, carismatico, virtuoso. Sara, la protagonista, è una ragazza dai sentimenti onesti. Lotta, perfino inconsapevolmente, contro i mali del mondo. Contro un brutale giardiniere che la insidia, contro le vecchie zie invidiose, contro la solitudine riflessa dello zio, talento inespresso, e contro la fuga incomprensibile del padre e della madre che non riescono a capirsi. E quando si riconcilierà con la figura paterna, Sara si scoprirà donna d’amore, con gli stessi tratti salienti di una madre idolo immaginativo, ossessionata del suo corpo che cresce, che appassiona gli uomini. Scrive Bevilacqua: “Chi gestisce l’amore stregone può diventare esso stesso il feticcio della sua vittima, un feticcio dotato di un potere stregonesco. Capita alle donne favorite da un’eccezionale bellezza. La storia ne è piena”. L’uscita del romanzo coincise con la partecipazione all’incontro con Benedetto XVI promosso dal presidente del Pontificio consiglio della cultura, monsignor Gianfranco Ravasi, nel decennale della “Lettera agli artisti” che nel 1999 Giovanni Paolo II aveva scritto riprendendo un dialogo avviato dal più amato dei papi per Alberto Bevilacqua, cioè Paolo VI. Emergono affinità tra questo “amore stregone” e l’incontro fiducioso tra chiesa e arte. Sara è altruista, animata dal buon senso e non cede alle tentazioni. Con una conoscenza innata del bene e del male si inoltra nel torbido universo degli adulti, quasi per redimerli con il biancore dei suoi gesti che finiscono per colpire gli interlocutori fino a spiazzarli. Sara riesce a sorprendere con l’enigma della fede, nel mistero più complesso da capire, quello del rapporto ancestrale che lega uomo e donna non solo dal punto di vista sessuale. Aspetti che hanno una similitudine proprio con la missione cristiana. Ha dichiarato Alberto Bevilacqua che la magia è uno sguardo di natura spirituale che permette di uscire anche dalla condizione più orribile. Accade in questo amore stregone, dove il confronto tra un padre e una figlia, conduce, da ultimo, alla scoperta del mistero della maternità. Non si compie la soddisfazione dell’istinto, ma l’incontro tra l’intelligenza e i sensi. Non a caso Bevilacqua venne invitato nel 1972 a scrivere su “L’Osservatore Romano” un poemetto, Essere Papa, che tanto piacque a Paolo VI che compiva 75 anni. In quei versi immaginazione e verità coincidevano in una finissima sensibilità che si preavverte proprio con i sensi. Esattamente come nelle pagine di L’amore stregone è un viaggio di iniziazione sul bene quando si è circondati dall’astio (capricci, gelosie, incomprensioni, tradimenti). Sara si immola, al termine del romanzo, come antidoto in carne ed ossa alla volgarità e all’approssimazione simboleggiata dalla musica del padre, straordinario e inespresso pianista: “Era bastato registrarle, quelle musiche. Pensando all’ora, verso il tramonto, quando le cose sembravano chiedere destino e armonia”.


Alessandro Moscè

 

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